Percorrere luoghi attraverso i sapori: è questo lo scopo delle Confezioni della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso. Nel nostro terzo percorso esploriamo il Sud Italia, ispirandoci alla confezione “Magna Grecia”.

Le Confezioni della Selezione Oli d’Italia nascono dal desiderio di condurvi in un viaggio alla scoperta della nostra terra e dei suoi prodotti, attraverso le sue opere più prelibate e i suoi sapori migliori.

Nella prima tappa di questo viaggio abbiamo percorso la nostra terra, il luogo in cui la nostra Storia ha avuto inizio: l’Irpinia. Nella seconda tappa abbiamo ampliato questo orizzonte, percorrendo parte della regione in cui viviamo: la Campania. 

Nella nostra terza tappa arriveremo ancora più lontano, percorrendo le regioni del Sud che furono colonizzate dai greci nel corso della “seconda colonizzazione”: la cosiddetta Magna Grecia.

Visiteremo tre regioni: ripercorreremo il Cilento campano, terra tra mito e storia, per poi proseguire lungo il mar Tirreno e la Calabria, fino a varcare lo stretto e toccare la Sicilia. La confezione Magna Grecia si compone di una selezione di tre bottiglie della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso. 

Si tratta di una bottiglia di DOP Cilento, olio extravergine d’oliva in bottiglia in vetro da 500 ml prodotto esclusivamente con le migliori olive della varietà Frantoio, Leccino e Ogliarola tipiche del Cilento; di una bottiglia di IGP Calabria, olio extravergine d’oliva in bottiglia in vetro da 500 ml prodotto esclusivamente con le migliori olive della varietà calabrese Carolea; e di una bottiglia di IGP Sicilia, olio extravergine d’oliva in bottiglia in vetro da 500 ml prodotto con olive della tipologia Biancolilla e Cerasuola. 

Allacciamoci le scarpe, riportiamo gli orologi indietro nel tempo e cominciamo il nostro viaggio attraverso la Magna Grecia e le regioni da cui provengono gli oli e le olive delle bottiglie in confezione.

Cosa fu la Magna Grecia

La denominazione “Magna Grecia” si afferma tra il IV e il II sec. a.C. per designare il complesso delle colonie greche dell’Italia meridionale peninsulare. 

Le ipotesi sull’origine di tale definizione: l’uso del termine “Magna” è probabilmente riconducibile alla prosperità della regione al tempo dei pitagorici. 

Ipotesi alternative sono:

  • la possibilità che i coloni achei desiderassero designare la regione d’insediamento in antitesi con l’angusta madrepatria;
  • un omaggio da parte degli abitanti delle metropoli dell’Oriente ellenico, che tenevano vivaci rapporti commerciali con le città dell’Italia meridionale.

Le popolazioni greche più attive nella colonizzazione furono i Calcidesi e gli Achei del Peloponneso. A loro dobbiamo la fondazione di città ancora esistenti, come Cuma, Reggio, Sibari o Crotone. 

La più antica colonia, secondo la tradizione, è proprio Metaponto. La frazione del comune di Bernalda (MT) fu infatti fondata nel 773.

Al secondo posto, intorno al 770, figura invece l’emporio di Pithecusa alias Ischia.

La Magna Grecia era caratterizzata da pòleis, fondate sul modello delle città-Stato della madrepatria.

Erano governate da sistemi oligarchici, sviluppatisi spesso in tirannie.

L’economia si basava sull’agricoltura e sul commercio, in pochi casi all’industria. Dalla metà del VI secolo molte pòleis si dotarono di una monetazione propria. 

Alcune città esercitarono per qualche tempo un’egemonia politica ed economica sulle altre (Sibari attorno al 550 a.C.; Crotone nel 500 circa; Taranto nel V e IV secolo a.C.); spesso si formarono confederazioni di città in funzione economica o difensiva. 

Dalla fine del V secolo in poi, mentre Taranto si affermava come massima potenza tra le città di origine ellenica, ebbero inizio conflitti contro le popolazioni indigene, principalmente Sanniti, Lucani e Bruzi. Infine la politica espansionistica di Dionisio I di Siracusa favorì il sorgere di una lega tra le colonie (la cd. Lega italiota).

Nel 272, Roma assoggettò prima Siracusa e poi Taranto. Neanche l’intervento di Pirro, re dell’Epiro, poté impedire la fine della Magna Grecia.

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DOP Cilento, l’olio degli Argonauti

Il Cilento, l’area montuosa della Campania situata nella provincia di Salerno, è caratterizzato da uno sviluppo urbano i margini costieri e fluviali.

Questo sviluppo urbano ebbe inizio proprio durante la seconda colonizzazione greca e la Magna Grecia.

Nel nostro tour precedente, ci siamo concentrati sul Cilento come ambientazione mitica e sullo splendido sito di Paestum.

Quest’oggi ritorniamo in un’altra location, che citammo in riferimento al mito di Giasone e degli Argonauti: l’Heraion alla foce del Sele, noto anche come il tempio di Hera Argiva.

Si trattava di un luogo di culto molto famoso presso gli antichi, come ci riferiscono gli storici Strabone e Plinio il Vecchio.

Un ruolo di primo piano era dato, sia nel mito che nella storia antica, al fiume Sele.

Il fiume assumeva il ruolo di un vero e proprio confine tra i territori ellenici, posti alla sua sinistra, e gli antichi territori degli Etruschi picentini.

Purtroppo, a causa delle sedimentazioni fluviali, già in epoca imperiale l’Heraion era andato perduto: negli Itineraria imperiale non figura, lasciandoci dedurre che se ne fossero perse le tracce.

I doni dell’Heraion alla foce del Sele

Negli scavi dell’Heraion sono stati rinvenuti due tipologie di reperti fenomenali: le metope e i doni votivi.

Per quanto riguarda le prime, si tratta di circa settanta metope con raffigurazioni scolpite in arenaria locale.

Circa quaranta appartengono a un ciclo più antico, risalente alla seconda metà del VI secolo. 

Le metope di questo ciclo raffigurano episodi del mito delle dodici fatiche di Eracle, del ciclo Troiano e del mito di Giasone e di Oreste. 

La raffigurazione, o per lo meno i suoi particolari, era presumibilmente arricchita dal colore.

Il ciclo più recente, composto dalle altre 30 metope, raffigura invece delle fanciulle danzanti.

Le metope sono collocate nel Museo archeologico nazionale di Paestum. La loro collocazione è attualmente incerta, sebbene ci siano numerose supposizioni in merito.

Gli scavi del santuario hanno inoltre restituito una grande quantità di doni votivi.

Si tratta per lo più di statuette in terracotta raffiguranti la dea. 

Gran parte dei doni votivi sono visibili sul sito stesso del santuario, nel “Museo narrante del santuario di Hera Argiva alla foce del Sele” ospitato in una masseria ristrutturata – la “masseria Procuriali”.

Le cultivar del mito: Ogliarola, Frantoio, Leccino

Il nostro Selezione Oli d’Italia – DOP Cilento nasce dalle olive Frantoio, Leccino e Ogliarola.

Si tratta di tre varietà tipiche del Cilento e di questa terra straordinaria.

La commistione di tre cultivar così eterogenee dona al DOP Cilento della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso un caratteristico colore verde scuro con riflessi dorati, caratterizzato da un gusto di ottima qualità.

Il sapore è fine, aromatico, sapido e fruttato, con sfumature di piccante e amaro. Alcuni vi ravvisano sentori di erba fresca, mela acerba, carciofo, maggiorana, rosmarino, lattuga, sedano e mandorla, pinolo.

Analizziamo meglio queste tre cultivar.

L’Ogliarola è una delle varietà di olive più diffuse nel Sud Italia.

È originaria della Puglia e della Basilicata. L’oliva assume specifiche caratteristiche in base al suolo, al clima, all’età dell’uliveto, da cui derivano differenti sfumature distintive.

La pianta è vigorosa e una fitta chioma. Molti esemplari superano abbondantemente i 100 anni. 

Le olive, invece, sono di piccole dimensioni e sono utilizzate quasi esclusivamente per la produzione di olio extravergine di oliva. 

Purtroppo questi ulivi sono vulnerabili a molte malattie. Tra queste vi è la temuta Xylella fastidiosa, il batterio killer che ha quasi portato all’estinzione degli ulivi salentini.

Questa cultivar ha però un’ottima resa e presenta un olio di elevata qualità.

La Frantoio è una delle coltivazioni di olivo più uniformemente diffuse sul territorio nazionale, talvolta coltivato anche all’estero.

È contraddistinta da un albero di media taglia e vigoria, con chioma allargata e mediamente fitta. 

La sua fruttificazione è elevata e costante, con una maturazione scalare e tardiva. 

Il periodo ideale di raccolta è intorno a metà novembre, con una produttività elevata e costante.

Le olive che produce sono di dimensioni medio-piccole, con una buona resa in olio.

L’olio che si ottiene da questa cultivar presenta un colore verde chiaro con deboli note giallognole.

Infine le Leccino sono fra le olive nere più coltivate in Italia.

È probabile che abbiano avuto origine in Toscana, dove furono al centro di una riforma agraria promossa da Cosimo I de’ Medici durante il Rinascimento. Abbiamo dedicato un approfondimento all’argomento nell’ultimo articolo dedicato alla storia dell’olio, che puoi leggere sul sito di Olio Basso.

Oggi l’oliva Leccino è coltivata in gran parte dell’Italia. 

Non solo: è stata perfino esportata in altre regioni del mondo, soprattutto in California, in Australia e in Cile.

L’olivo Leccino si presenta come un albero esteticamente molto gradevole e può raggiungere grandi dimensioni. 

Una peculiarità sono i rami di tipo cadente, che ricordano quelli di un salice piangente.

Le Leccino godono di tempi relativamente brevi di maturazione, con produttività elevata e costante. 

Le olive si contraddistinguono per i colori scuri, variando dal verde al viola scuro. Hanno una forma piuttosto ellittica e irregolare. 

Gli utilizzi di queste olive sono molteplici, grazie anche alla semplicità di lavorazione.

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IGP Calabria, l’olio spartano

La Calabria è la regione situata all’estremità meridionale della penisola.

Vi risiedono 1 milione 883 mila abitanti cca e ha per capoluogo Catanzaro.

Confina a nord con la Basilicata e a sud-ovest un braccio di mare la separa dalla Sicilia ed è bagnata a est dal mar Ionio e ad ovest dal mar Tirreno.

Il nome Calabria designava, in origine, il Salento (i cui abitanti erano chiamati “sallentini” e “calabri”). Esso si inseriva a sua volta nella regione augustea Regio II Apulia et Calabria, l’attuale Puglia.

L’odierna Calabria era detta dai romani Brutium e, insieme all’attuale Basilicata, costituiva la Regio III Lucania et Bruttii.

Di fondamentale importanza è lo sbarco dei Greci sulle coste calabresi, i quali strapparono le terre ai Lucani e li costrinsero a rifugiarsi nell’entroterra e nella parte settentrionale della regione.

Gli achei si mescolarono con gli altri popoli autoctoni, dando vita a una cultura meticcia: la cultura greco-italica.

Una cultura che fu estremamente florida nei secoli successivi.

I Greci fondarono fiorenti colonie, così magnificenti da guadagnarsi l’appellativo di Magna Grecia e così importanti da superare, in alcuni casi, la stessa madrepatria.

La storia delle poleis magnogreche calabresi vide primeggiare politicamente ed economicamente le città di Reggio, padrona dello Stretto di Messina e della Calabria meridionale; di Locri Epizefiri nella parte centrale della regione; di Crotone in quella settentrionale, in una storia fatta di alterne alleanze e conflitti interni tra le tre potenze della regione.

Torneremo a raccontarvi la storia e la cultura calabresi in altri tour.

Per oggi ci fermeremo al periodo magnogreco che caratterizza la confezione Magna Grecia.

Scopriamo cosa abbia comportato questa cultura meticcia in cucina e cosa sia giunto fino a noi dal II secolo.

Una tradizione contadina

La cucina tradizionale calabrese è spartana, ma ricca di sapore e di gustose sorprese.

Ereditata dalla cultura pastorale e contadina, rispecchia i condizionamenti ambientali della Calabria e dei suoi scorci contrastanti tra la montagna e il mare.

I piatti tipici locali sono semplici, poveri ed aromatizzati con sapori forti e genuini.

Le pietanze sono anche fortemente legate alla vita religiosa e spirituale (collettiva e privata).

In occasione del Natale e dell’Epifania è usanza mettere in tavola tredici portate; mentre a Carnevale si mangiano i maccheroni , le polpette e la carne di maiale.

La Pasqua si festeggia con l’arrosto d’agnello e i pani spirituali e così per le altre feste.

Ogni evento della vita familiare, sia esso lieto (battesimi, nozze) o meno (lutti, ecc) è festeggiato con una cena a base di piatti particolari.

Sino agli anni ’60 prevalevano nella cucina tradizionale alcuni elementi base che, oggi, hanno guadagnato nuovamente popolarità.

Per fare due esempi: per il pane, accanto alla farina di grano, spesso si ricorreva a quella di segale, di ghianda o di castagna e varie altre farine minori.

Per le paste, invece, il grano talvolta si mescolava all’orzo, alla segale, al granoturco e così via.

Fra le carni, le pietanze cardine sono ancora oggi la capra ed il maiale. Ciò è determinato da un’economia nella quale la pastorizia aveva un ruolo di primo piano.

Per quanto riguarda le carni, erano diffuse alcune forme di cottura oggi quasi scomparse – tra cui l’arcaica capra (o pecora) sottoterra.

All’agnello o al capretto si riservava invece un altro tipo di cottura, diffusa ancora oggi in tutti i Balcani.

Il procedimento si definisce “carne in tortiera”. Su un letto di braci si dispone una pentola di coccio con dentro le carni predisposte per la cottura. Sul coperchio sovrapposto si stende un ulteriore strato di braci e si lascia cuocere in una sorta di forno a cielo aperto.

L’allevamento e la trasformazione del maiale nel mondo tradizionale avevano un’importanza centrale che si mantiene tuttora molto forte nella diffusa pratica dell’allevamento domestico.

La salumeria comprende tutti i possibili derivati: salsicce e soppressate, capicolli, carne in salamoia, sanguinacci. Ancora oggi, il sacrificio dell’animale è accompagnato con una festa familiare: la frittolata.

Si consumano così, subito dopo la macellazione, le parti deteriorabili dell’animale (cervella, fegato, polmoni, etc.) e si cuociono a fuoco lento tutte le rimanenze nella tradizionale caldaia per ricavarne cotiche e ciccioli.

L’olio e le olive ricoprono un ruolo di primo piano nell’accompagnare queste ricette. Andiamo a scoprire la Carolea, l’oliva della Magna Grecia.

La Carolea, l’oliva della Magna Grecia

La Carolea è la cultivar da cui nasce l’IGP Calabria della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso.

Si tratta di una varietà di olivi che viene coltivata soprattutto in Calabria.

È una varietà che prende diverse denominazioni di natura gergale. Tra le più conosciute: Olivona, Calabrese, Cumugnana e Catanzarese.

La pianta si sviluppa prevalentemente in collina, grazie al clima caldo della regione e alla forte esposizione solare.

La luce permette la crescita spropositata del frutto. 

Inoltre l’aria salmastra e la presenza di correnti d’aria, favoriscono il ciclo vegetativo che genera una fioritura molto abbondante.

La fioritura avviene piuttosto precocemente, generando fronde vigorose e piene.

La maturazione del frutto si sviluppa gradualmente generando una presenza di olio al suo interno in quantità media rispetto alle altre varietà.

L’olio della Carolea ha un’alta adattabilità al terreno in cui viene impiantato e una decisa tolleranza alle basse temperature. 

Lo sviluppo delle radici è ampio, dando alla specie la possibilità di assorbire nutrimento dal terreno in maniera completa.

Ma teme i ristagni d’acqua, che ne causano una predisposizione agli attacchi parassitari e fungini.

Olio Extravergine di Oliva Selezione IGP Sicilia

IGP Sicilia, l’olio della Trinacria

La Sicilia è una regione a statuto speciale dell’Italia insulare.

È la regione più estesa d’Italia e la quarta per popolazione. Il suo territorio è di 25 mila 832 km2 e conta poco meno di 5 milioni di abitanti.

La Sicilia è  costituita dall’isola omonima, la più estesa del Mediterraneo, e da numerose isole minori (le Eolie, le Egadi, le Pelagie, Pantelleria e Ustica).

È bagnata a nord dal Mar Tirreno, a ovest dal Canale di Sicilia, a sud-ovest dal Mar di Sicilia, a sud-est dal canale di Malta, a est dal Mar Ionio e a nord-est dallo stretto di Messina che la separa dalla Calabria.

Le più antiche tracce umane sull’isola risalgono al 20mila a.C. circa.

In era preistorica fiorirono le culture denominate in base all’area dei ritrovamenti – “di Stentinello”, “di Castelluccio”, “di Thapsos”.

Da qualche decennio si indaga sulla possibilità di delineare una “cultura” dei dolmen. 

Successivamente popoli provenienti dal Medioriente e da ogni parte d’Europa s’insediarono nella Sicilia preistorica nel corso dei millenni, stratificandosi e fondendosi coi popoli autoctoni.

L’isola fu colonizzata già nel corso dell’VIII secolo a.C., prima dai Fenici e soprattutto dai Greci.

Nei successivi 600 anni si verificò l’ascesa della grande potenza di Siracusa. I tiranni siracusani Gerone I e Dionisio I unificarono sotto il proprio controllo, in una sorta di monarchia, tutta la Sicilia posta ad est del fiume Salso. 

Il successivo regno siceliota si sarebbe esteso fino alle città di Reghion, di Locri e dell’estremità meridionale della Calabria. 

Durante questa lunga fase storica la Sicilia fu campo di battaglia delle guerre greco-puniche e poi delle romano-puniche. 

L’isola fu poi assoggettata dai Romani e divenne parte dell’impero fino alla sua caduta nel V secolo d.C.

Qui fermiamo gli orologi della storia, per goderci questo primo tour oltre lo Stretto. E lo faremo a partire dalla cucina.

Una cucina meticcia e antica

La cucina siciliana è l’espressione dell’arte culinaria sviluppata in Sicilia fin dall’antichità ed è strettamente collegata alle vicende storiche, culturali e religiose dell’isola.

Già dai tempi della Magna Grecia in Sicilia si andava sviluppando uno stile ben preciso di abitudini culinarie.

Uno stile che, col passare dei secoli, si è arricchito di nuovi sapori e di nuove pietanze, seguendo le vicissitudini storiche dell’isola mediterranea.

Si tratta quindi di una cultura gastronomica regionale che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni.

Tale cultura è stata tramandata di generazione in generazione oltre che in ambito letterario.

Ciò spiega perché alcune ricette, di origine antichissima, sono tutt’oggi preparate e servite a tavola con frequenza.

Nel contesto generale si può affermare che la cucina siciliana sia motivo di riconoscimento e identità comune per i siciliani. Nell’epoca moderna, è diventata anche motivo di attrazione turistica.

Con l’effetto dell’emigrazione all’estero, questa cucina è poi stata esportata in molte altre località anche distanti dalla Trinacria.

Complessa ed articolata, la cucina siciliana è sovente ritenuta la più ricca di specialità e la più scenografica d’Italia.

Alcuni dei cibi più noti, sono diffusi non solo a livello regionale ma addirittura mondiale.

Tra questi vi sono la cassata siciliana, gli iris, il cannolo siciliano, la granita e le arancine.

Grazie al suo clima mite, l’isola è ricca di spezie e piante aromatiche: origano, menta, rosmarino, fanno parte dei condimenti quotidiani.

Di più: il terreno fertile produce arance e limoni in grande quantità. Mandorle, ficodindia, pistacchio e olive sono altri simboli culinari nei quali l’isola eccelle.

Nonostante nell’insieme il carattere alimentare di tale cucina risulti unificato, una sua caratteristica è quella di avere per ciascun territorio – se pur di ridotto perimetro o di vicinanza ad un altro territorio – delle pietanze culinarie circoscritte a quella determinata area.

Quindi la stessa ricetta diventa quasi introvabile spostandosi in un’altra zona dell’isola.

Nella maggior parte dei casi si tratta di varianti della stessa ricetta regionale, ma in alcuni casi questi cibi, come ad esempio le panelle palermitane o i muccunetti di Mazara del Vallo, hanno una preparazione e una commercializzazione rilevata solo nella loro zona di origine.

Tale caratteristica alimentare ha portato spesso ad una divisione culinaria tra Sicilia occidentale, Sicilia centrale e Sicilia orientale.

Le nostre cultivar sicule: la Biancolilla…

Le cultivar da cui nasce l’IGP Sicilia della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso sono la Biancolilla e la Cerasuola.

Conosciuta anche come Bianca, Biancolina, Imperialidda, Jancuzza, Marmorina, Pruscarina, Siracusana (e abbiamo citato solo le più celebri!), la Biancolilla è ritenuta una delle varietà più antiche tra le olive e gli uliveti italiani.

È annoverata tra le cultivar autoctone siciliane e si ritiene che sia originaria della zona di Caltabellotta, nell’agrigentino.

L’oliva Biancolilla è molto apprezzata per la grande produttività e per la rimarchevole rusticità.

Il suo nome deriva dal processo di maturazione, durante il quale le drupe passano dal tipico colore verde del frutto acerbo a una tonalità di rosso tendente al violaceo.
Coltivata prevalentemente in Sicilia occidentale (soprattutto nel palermitano e nell’agrigentino) è presente anche sul versante orientale dell’isola.

Si tratta di una cultivar piuttosto resistente anche su territori alto-collinari e con scarsa disponibilità di acqua, fattore che la rende ottima per essere ospitata sui terreni aridi tipici della Sicilia.

Tra le principali peculiarità dell’olivo ricordiamo le radici, molto profonde e ampiamente diffuse.

L’olio extravergine di oliva Biancolilla racchiude molti dei sapori tipici della produzione alimentare sicula.

Di colore verde o giallo paglierino con sfumature vagamente dorate, è caratterizzato da un fruttato leggero, lievemente piccante e molto aromatico in cui si avvertono le fragranze di mandorla, pomodoro e carciofo abbinate a dei gusti di erba fresca e oliva verde, anche se possono sussistere delle differenze in base al sottotipo e a seconda degli impollinatori adottati.

L’olio della cultivar Biancolilla è eccellente per il condimento di piatti a base di pesce o di verdure, ma si può utilizzare anche per la realizzazione di dolci in sostituzione del burro o dell’olio di semi.

…e la Cerasuola

La seconda cultivar che dà origine al nostro IGP Sicilia è la Cerasuola.

È una delle cultivar più diffuse in tutto il territorio siciliano.

Le zone di produzione di questa varietà coprono ampi settori del versante occidentale della regione, in particolare nella provincia di Trapani (dove è nota anche come Ogliara o Palermitana), di Palermo (dove è conosciuta anche come Marfia) e nel comprensorio di Sciacca (dove, a causa della sua forte sensibilità agli attacchi di rogna, è chiamata anche Purrittara).

Queste olive hanno una vocazione esclusivamente olearia e sono caratterizzate da una resa piuttosto alta.

Tra le numerose qualità di questa cultivar ricordiamo l’elevato grado di resistenza alla siccità e la capacità di prosperare anche in terreni poveri di nutrimento.

Le olive Cerasuola hanno una pezzatura grande e possono superare i 7 grammi di peso.

La forma delle drupe è ellittica, con apice rotondo, senza umbone e con base arrotondata, mentre il colore in fase di maturazione volge interamente al nero o al violaceo.

Le caratteristiche dell’olio ricavato dalla Cerasuola variano a seconda della fase di maturazione in cui viene effettuato il raccolto, dal tipo di suolo in cui cresce l’olivo e in base ai metodi di coltivazione.

L’olio extravergine di Cerasuola è caratterizzato all’olfatto da un fruttato di grado medio o intenso, unitamente a delle sensazioni di erba fresca e in certi casi di pomodoro, carciofo e cardo. Al gusto prevale l’amaro ed il piccante, ma è presente anche una punta di dolce.

La colorazione dell’olio è gialla o verde.

Quest’olio conserva molto bene le proprie qualità gustative nel corso del tempo ed ha un contenuto nutrizionale molto benefico per la presenza di beta-carotene, grassi insaturi e tocoferoli. Abbiamo parlato delle proprietà benefiche di questi agenti in un articolo dedicato alle qualità dell’olio, che trovate sul sito di Olio Basso (link).

In cucina, l’olio della Cerasuola è molto usato per il condimento di piatti a base di carni, di zuppe e di insalate.

In conclusione…

La confezione Magna Grecia della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso ci ha portato a spasso nella Storia e tra i gusti e i sapori delle regioni del Sud.

Abbiamo solo sfiorato – o, anzi, assaggiato – alcuni dei tesori e dei saperi che il Cilento e la Campania, la Calabria e la Sicilia custodiscono.

La nostra terra, l’Italia, e il nostro mare, il Mediterraneo, sono luoghi antichi in cui l’umanità e la natura convivono da millenni.

L’olio e le pietanze che queste culture hanno creato sono il frutto generoso della capacità di convivere in armonia e di arricchire noi stessi e la natura.

I nostri tour sono una scoperta anche di queste storie, per capire come non tutti i tesori sono d’oro e diamanti.

Una tavola imbandita, un olio fragrante, la brezza del mare: sono qualcosa di inestimabile.

Noi proviamo a raccontarvi e a portare sulle vostre tavole un pezzo di questo mosaico e vi invitiamo a scoprire queste regioni e queste terre insieme a noi.

Appuntamento al prossimo tour, alla scoperta dei saperi e dei sapori d’Italia.

Fedele nel gusto, sempre.