Percorrere luoghi attraverso i sapori: è questo lo scopo delle Confezioni della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso. Cominciamo dalla nostra terra, l’Irpinia.
Le Confezioni della Selezione Oli d’Italia nascono dal desiderio di condurvi in un viaggio alla scoperta della nostra terra e dei suoi prodotti, attraverso le sue opere più prelibate e i suoi sapori migliori.
La prima tappa di questo viaggio è la nostra terra, il luogo in cui la nostra Storia ha avuto inizio: l’Irpinia.
La confezione Irpinia si compone di tre bottiglie di Monocultivar Ravece, in bottiglia in vetro da 500 ml prodotto con olive della varietà Ravece, provenienti quasi esclusivamente dalla provincia di Avellino; di una bottiglia di Greco di Tufo, vino bianco in bottiglia in vetro da 750 ml, e di una bottiglia di Taurasi, vino rosso in bottiglia da 750 ml. Entrambi i vini sono prodotti con uve provenienti dalla provincia di Avellino lavorate presso Villa Raiano, azienda irpina di grande tradizione vitivinicola.
Cominciamo il nostro viaggio dal nome della confezione: cosa significa “Irpinia”?
Attraverso l’Irpinia, la terra del Lupo
Il toponimo Irpinia si riferisce al territorio dell’Appennino campano occupato in epoca pre-romana dalla tribù degli Hirpini, genti di origine sannitica e di lingua osca.
L’etnonimo deriverebbe proprio dalla lingua osca: in osco, infatti, Hirpus significa “lupo”.
Il lupo, secondo la leggenda, era l’animale totemico che la tribù scelse dopo la deduzione dagli altri clan sanniti.
La loro economia, arcaicamente, si basava sulla pastorizia e sull’allevamento.
Secondo quanto riportato dagli autori antichi, in particolare Plinio il Vecchio e Tolomeo, alcuni dei principali insediamenti irpini erano Aeclanum (Taurasi), Fulsulae (Montefusco) e l’antica Abellinum (l’odierna Atripalda).
Gli Irpini furono tra le tribù più irriducibili e si opposero strenuamente all’espansionismo politico e militare della crescente potenza romana nel corso delle guerre sannitiche.
Furono definitivamente assoggettati a Roma solo nell’82 a.C. alla conclusione della guerra civile romana tra Mario e Silla.
Il Monocultivar Ravece irpino
Dopo l’annessione alla potenza romana, la città irpina fu ricostruita nel sito dove oggi è possibile visitare l’antica Abellinum.
La coltivazione e il commercio dell’olio si sviluppano fortemente in quegli anni: nascono figure specializzate nell’ulivocoltura, nella produzione dell’olio e nel commercio.
Abbiamo approfondito la storia dell’olio in un articolo che potete consultare su Olio Basso, a questo indirizzo.
Ancora oggi, con le olive della varietà Ravece coltivate nella provincia di Avellino, produciamo il Monocultivar Ravece della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso.
Si tratta di un olio unico, caratterizzato dal colore verde intenso e da un fruttato intenso ed elegante che sfuma in un peculiare aroma erbaceo con spiccate note di pomodoro verde.
Il suo gusto, tra l’amaro ed il piccante, è conferito dall’elevato contenuto di polifenoli: si tratta di composti aromatici e antiossidanti, da cui dipendono alcune delle migliori qualità (e dei benefici) dell’olio EVO.
Il nostro pluripremiato Monocultivar Ravece porta sulle vostre tavole la Storia, la qualità e il sapore di queste terre generose, delle quali possiamo ripercorrere la storia nel sito dell’antica Abellinum.
Raggiungiamo il pianoro della Civita, nei pressi dell’attuale Atripalda, per poi calzare le caligula e immergerci nella storia.
Passeggiando nell’antica Abellinum
I resti dell’antica Abellinum occupano l’attuale pianoro della Civita, a nord-ovest dell’attuale Atripalda.
Fu il dictator Silla a costruire la nuova colonia: essa sorgeva sulla riva sinistra del fiume Sabato, adottando il tradizionale impianto ortogonale dell’urbanistica romana. La nuova città fu circondata da un poderoso sistema murario e divenne rapidamente uno snodo sulla via Appia da e verso la Puglia.
Il sito riunisce reperti preistorici, irpini e romani: è possibile visitare una cittadella, un anfiteatro, l’acquedotto, delle terme e una domus in stile pompeiano.
Di particolare interesse è l’acquedotto romano, una delle più grandi opere architettoniche dell’Impero.
Costruito in età augustea, convogliava le acque dall’omonima sorgente fino al porto di Puteoli e alla flotta stanziata a Miseno.
Lungo il suo tragitto di 96 km riforniva grandi città come Pompei, Neapolis e Cumae.
La storia di Abellinum segue quella dell’Impero Romano. La città irpina, infatti, entrò in crisi tra il III e IV secolo a causa dell’anarchia militare e del caos amministrativo di Roma.
Il terremoto nel Sannio-Matese nel 346 e la cosiddetta “eruzione di Pollena” sancirono la definitiva fine di Abellinum. La seconda, in particolare, fu una violenta eruzione del Vesuvio nel 472 d.C. Anche se classificata come “sub-pliniana”, cioè di potenza inferiore all’esplosione che distrusse Pompei, Ercolano e Oplonti, anche quest’eruzione produsse una devastazione straordinaria.
Con la migrazione verso sud del popolo germanico dei Longobardi Abellinum si spopolò definitivamente. La popolazione locale si disperse sulle alture nei dintorni, dando origine a nuovi, piccoli centri.
Le trasformazioni in atto coinvolsero anche l’agricoltura, il cibo e il commercio: l’olivicoltura e la produzione d’olio ebbero una battuta d’arresto. Fu così che ci si concentrò sulla produzione di uve e di vini.
Sulle orme del Greco di Tufo
Le prime testimonianze di un misterioso “vino greco” provengono da affreschi pubblicitari ritrovati a Pompei, risalenti al I secolo a.C.
Numerose sono anche le testimonianze letterarie: Aristotele, Plinio il Vecchio, Catone, Varrone, Virgilio sono solo alcuni degli autori che hanno raccontato le qualità di questo vino.
Gli studiosi antichi ci forniscono anche alcune ipotesi su come le uve greche si fossero diffuse dall’Ellade in Campania.
Quelle uve e quei vigneti sono gli stessi che, oggi, coltiviamo per produrre il Greco di Tufo di Villa Raiano.
Un vino bianco DOCG caratterizzato dal colore giallo paglierino, più o meno intenso, e dall’odore gradevole e intenso. L’odore caratteristico introduce il nostro olfatto al sapore fresco, ma secco.
Colore, odore e sapore sono l’esito della coltivazione su terreni unici al mondo. Caratterizzati da suoli dai profili giovani, a causa dell’intensa attività vulcanica e tellurica della nostra regione, che spesso poggiano sui loro substrati pedogenetici di roccia.
Coltivate in otto comuni irpini, le uve del nostro Greco di Tufo provengono da Tufo, Altavilla Irpina e Montefusco.
Ma, in questo tour irpino della Selezione oli d’Italia, vogliamo portarvi in un luogo inaspettato: le miniere di zolfo tra Tufo e Altavilla Irpina.
Uva e zolfo, una relazione inaspettata
I principali siti minerari di estrazione dello zolfo presenti in Irpinia sono due: lo Stabilimento S.A.I.M. di Altavilla Irpina e il sito delle miniere e del Molino Giardino presso Tufo.
I due siti furono scoperti tra il 1863 e il 1866 dalle famiglie Capone e Di Marzo.
Perché uva e zolfo irpini sono legati? Perché la scoperta dei giacimenti di zolfo in Irpinia ebbe forti ripercussioni anche sulla viticoltura e sullo sviluppo del Greco di Tufo moderno.
Con la “zolfatura”, infatti, i viticoltori acquisirono un potente strumento contro i patogeni (i solfiti) che potevano svilupparsi nel corso della fermentazione.
Questo accorgimento tecnico determinò un grande sviluppo dei consumi, dell’esportazione e dell’indotto di questo pregevole vino. La costruzione della prima ferrovia irpina, nata per servire proprio questi siti minerari, contribuì ulteriormente alla sua diffusione in Campania e nel resto d’Italia.
Oggi il Greco di Tufo continua a essere premiato, apprezzato e gustato a tavola. Le miniere di zolfo, invece, sono solo un’ombra del passato.
La miniera di Altavilla Irpina, oggi, è ancora parzialmente in attività: produce zolfi per l’agricoltura e l’industria. Le strutture e i macchinari del passato sopravvivono come patrimonio di archeologia industriale.
È possibile approfondire e organizzare visite presso questo sito contattandone l’attuale amministrazione, la S.A.I.M., attraverso il loro sito internet.
Il sito delle miniere e del Molino di Tufo, invece, è caduto in disuso nel corso degli anni ‘70. Oggi, dopo un restauro, è liberamente visitabile e costituisce un importante esempio di archeologia industriale moderna.
L’invenzione del Greco e Tufo
Il toponimo del paese Tufo deriva dall’omonima roccia vulcanica.
Il tufo è presente diffusamente nel sottosuolo di tutta l’area, per effetto dell’eruzione preistorica delle “pomici di Avellino”.
Il castello del paese, a partire dal quale si è sviluppato il resto del centro abitato, sorge proprio su queste rocce.
All’ingresso al centro storico, contraddistinto da uno splendido arco, troviamo un edificio con un’alta torre cilindrica e peculiari finestre.
Questa specie di “secondo castello” è palazzo di Marzo, un importante edificio gentilizio risalente al XIX secolo.
L’origine del palazzo è probabilmente ascrivibile a Scipione di Marzo, capostipite dell’ominima famiglia, che ne avviò l’edificazione nel 1648.
Ed è a Scipione che, tradizionalmente, si attribuisce l’invenzione del Greco di Tufo come lo conosciamo.
Rifugiantosi nel feudo per sfuggire alla peste, Scipione si concentrò sulla viticoltura e sulla mescita nella cantina del palazzo. Il fertile suolo vulcanico tufese, le prove di Scipione e l’uva “greca del Vesuvio” avrebbero dato origine al vino come lo conosciamo.
Per questo motivo le cantine ottocentesche sono le protagoniste della manifestazione “Cantine aperte”, che si tiene nel mese di giugno.
Il Taurasi, tra gusto e Storia
Anche le origini del vino Taurasi sono preromane.
L’etimologia del nome è da ricercare in Taurasia, un’antica città che sorgeva al confine tra il Sannio e l’Irpinia.
Fu annessa a Roma da Scipione Barbato a conclusione delle guerre sannitiche, evento riportato anche nell’epitaffio del legato custodito presso il sepolcro degli Scipioni.
Già in età augustea l’ager Taurasinus divenne popolare per la qualità del vitigno Aglianico e la bontà dei suoi vini, come testimonia lo storico Tito Livio.
Ancora oggi dall’Aglianico irpino ha origine il Taurasi di Villa Raiano, vino rosso irpino DOCG.
Il Taurasi è contraddistinto dal sapore asciutto e pieno, dal retrogusto persistente. L’odore, etereo e gradevole, si accompagna a un colore rubino intenso, che tende al granato.
La relazione tra il Taurasi e l’Irpinia coniuga Storia, cultura, antropologia. E anche in questo caso, prima di raggiungere il nostro vigneto, vi portiamo in luogo fuori dal tempo: la ferrovia del vino.
La ferrovia del vino
Tra la fine del ‘800 e la prima metà del ‘900 si assiste a un primo exploit moderno dei vini irpini. La causa fu l’invasione della fillossera della vite.
Questi parassiti, originari degli Stati Uniti orientali, si erano diffusi grazie al commercio internazionale soprattutto in Gran Bretagna e Francia.
L’endemica diffusione di questi insetti fitofagi provocò una grave crisi della viticoltura europea a partire dal 1863.
L’Irpinia e il meridione, più isolate rispetto ad altre regioni italiane, furono quasi risparmiate dall’invasione.
Dalla stazione ferroviaria di Taurasi partivano bastimenti carichi di uve e di vino, diretti verso i distretti viticoli toscani, piemontesi e aquitani.
Fonti dell’epoca, purtroppo non verificabili, parlano di una produzione superiore ai 100 milioni di litri e di un’estensione dei vigneti superiore ai 60mila ettari.
Fu così che la Avellino-Rocchetta Sant’Antonio fu denominata la “ferrovia del vino”. La tratta, oggi, è sospesa al traffico ordinario dal 2010. A partire dal 2016, è stata gradualmente riaperta per scopi turistici dalla Fondazione FS.
Oltre a Taurasi, dal carnevale del 2018 è stata riattivata la tratta fino a Montemarano. Questa è la prossima fermata del nostro percorso.
Montemarano, il carnevale e la tarantella “jazz”
Montemarano è il comune in cui si trova il vigneto Aglianico.
Da qui i grappoli d’uva, raccolti manualmente e trasportati in cantina in piccole cassette, vengono poi portati a Villa Raiano. Lì le uve fermenteranno per due anni e, nel mese di settembre del secondo anno successivo alla vendemmia, saranno poi imbottigliate per fermentare un altro anno ancora.
Montemarano fu fondata dal condottiero irpino Mario Egnazio: quest’origine antica e irpina potrebbe essere la spiegazione della peculiare urbanistica, che vende il centro storico assumere la forma di una “Y”.
La città, che fu scenario di una delle ultime resistenze irpine nelle guerre sannitiche, è nota per il suo carnevale e la peculiare tarantella che lo accompagna.
La tarantella è ballata durante la processione del carnevale ed è suonate da piccole e scatenate orchestre di clarinetti, flauti, fisarmoniche e tamburi a cornice, che percorrono ripetutamente le strade storiche del paese. Ogni gruppo musicale è guidato da un “caporabballo”, il personaggio più rappresentativo di tutta la manifestazione, un Pulcinella in costume bianco e rosso.
Il ritmo della danza nel corso della sfilata diviene sempre più sostenuto, fino al delirio, con elaborazioni improvvisate. La presenza del clarinetto le ha valso il soprannome di “tarantella jazz”.
L’origine del carnevale montemaranese e della relativa tarantella continua a impegnare e coinvolgere gli studiosi.
Tra i primi a investigare sulla genesi della festa e della musica fu, già nel XVII secolo, il poeta, scrittore e governatore del paese Giambattista Basile.
L’autore de Lo cunto de li cunti contribuì a sviluppare la teoria che considera carnevale e tarantella come l’esito del melting pot sociale, culturale e religioso nato dall’avvicendarsi delle migrazioni straniere (Goti, Visigoti, Longobardi, ecc).
Il carnevale di Montemarano ha inizio con la ricorrenza di S. Antonio Abate, il 17 gennaio e ha termine la domenica successiva alle Ceneri. Nella notte della domenica di “Carnevale morto”, infatti, si svolge il commiato da Carnevale e si rompe, in segno di buon auspicio, una pignata.
In conclusione…
Con Carnevale e a ritmo di tarantella si conclude il nostro primo tour nato dalle Confezioni della Selezione Oli d’Italia – Sabino Basso.
Abbiamo attraversato l’Irpinia sulle tracce del suo olio, il Monocultivar Ravece, e dei suoi vini più amati, il Greco di Tufo e il Taurasi.
Questo è stato solo un semplice assaggio: la terra del Lupo e, più in generale, la Campania hanno infatti tanto altro da offrire. Nei prossimi tour torneremo nuovamente a muoverci tra Storia, cultura, enogastronomia, agricoltura e tanti altri temi.
Nel frattempo, assaporando i preziosi e deliziosi prodotti della confezione Irpinia, vi invitiamo a non fermarvi.
Continuate il vostro viaggio con noi, nel gusto e nel sapore della tradizione e della nostra Selezione Oli d’Italia.
Fedele nel gusto, sempre.